domenica 21 febbraio 2010

Carnival




Ci sono serate in cui tutto è lecito ed è bello esagerare. Anzi sono fatte apposta!!!
Strepitosa,
grazie a tutti

venerdì 19 febbraio 2010

Montale

Dopo Foscolo, il mio secondo poeta preferito. Non è forse la sua poesia più famosa ma una delle mie preferite, da Ossi di Seppia:

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e' dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case

Pensieri

Addio
monti sorgenti dall'acque- ed elevati al cielo
cime inuguali
note a chi è cresciuto tra voi
e impresse nella sua mente
non meno che l’aspetto de' suoi familiari
torrenti- de' quali si distingue lo scroscio
come il suono delle voci domestiche
ville sparse e biancheggianti sul pendìo
come branchi di pecore pascenti
addio!
Quanto è tristo il passo di chi
cresciuto tra voi
se ne allontana!
cit. Promessi Sposi

Penso che tra un po ci ridurremo a scrivere così:Addio monti dobbiam far spazio ad un grattacielo.. è assurdo il progetto, l'idea, che cancellerà una cascata (sconosciuta ai più ma non a Stendhal) per far posto ad un supermercato (l'ennesimo). Invece succederà davvero, ad Asso, vicino Como, poi ci si lamenta se aumentano le frane, gli smottamenti, i crolli.. Con il consumo di suolo che stiamo facendo è solo una conseguenza, forse la più mite e la meno grave.

domenica 14 febbraio 2010

Treno




Mi piace viaggiare in treno. E' decisamente comodo. Uno parte, si siede, legge, ammira il paesaggio, non trova code non deve prestare attenzione e concentrazione, può alzarsi dal suo posto e sgranchirsi le gambe seenza interrompere la marcia, non si stressa. Uno dei tratti preferiti è la Milano-Viareggio via Genova. Racchiude in sè tutti i paesaggi possibili. Uno parte dal caos della centrale, scorre i binari, i palazzi le fabbriche, il grigiore tutto scorre e cambia nel giro di poco. A Rogoredo senti che hai lasciato definitivamente la città, ti si aprono i campi e i paesini. Arrivi a Pavia, passi il Ticino, scavalchi il Po, campi alberi e vedi il passare delle stagioni. Passi il piemonte, il grigiore di Arquata Scrivia e gli Appennini, le gallerie, il buio. Poi la luce. Genova. anche se piove, Genova è la luce. Perchè dopo il tunnel c'è sempre la luce in fondo. I palazzi e i colori della liguria i teli stesi ad asciugare rallegrano il paesaggio. Una sosta a Principe e senti il profumo del mare, distante solo pochi passi. Si riparte, tunnel, Brignole, tunnel, il mare, Quarto lo scoglio dei Mille, Nervi, il parco le onde, Camogli, Santa Margherita, le cinque terre, gli scorci dei promontori a picco sul Tirreno, il rosso, il giallo delle case, le persiane vedri semi chiuse, una barca in lontananza. La Spezia, il porto, tunnel si sbuca in Toscana. Il caldo la piana coi campi e vicino le Apuane, il bianco del Marmo e riflessi del sole sul mare con le gru del porto in lontananza. Carrara, Massa, Pietrasanta e Viareggio. Fine del viaggio, si scende.

venerdì 12 febbraio 2010

Dai quaderni di Saramago, Haiti

Il giorno di Ognissanti del 1755 Lisbona fu Haiti. La terra tremò quando mancavano pochi minuti alle dieci del mattino. Le chiese erano piene di fedeli, i sermoni e le messe al loro apice… Dopo una prima scossa, la cui magnitudo i geologi oggi calcolano possa aver toccato il nono grado della scala Richter, le repliche, anch’esse di grande potenza distruttiva, durarono ancora l’eternità di due ore e mezza, trasformando l’85% delle costruzioni della città in macerie. Secondo testimoni dell’epoca, l’altezza dell’onda dello tsunami che ne risultò fu di 20 metri, causando 600 vittime tra la moltitudine attratta dall’insolito spettacolo del letto del fiume lastricato di relitti di navi là affondate nel corso del tempo. Gli incendi durarono cinque giorni. I grandi edifici, palazzi, conventi, colmi di ricchezze artistiche, biblioteche, gallerie di dipinti, il teatro dell’opera da poco inaugurato, che, bene o male, avevano resistito ai primi colpi del terremoto, furono divorati dal fuoco. Dei 275 mila abitanti che Lisbona aveva all’epoca, si crede ne siano morti 90 mila. Si racconta che all’inevitabile domanda “E adesso, cosa fare?”, il ministro degli Esteri Sebastião José de Carvalho e Melo, che più tardi fu nominato primo ministro, avrebbe risposto “Sotterrare i morti e prenderci cura dei vivi”. Queste parole, che entrarono subito nella Storia, furono effettivamente pronunciate, ma non da lui. Le disse un ufficiale maggiore dell’esercito, in questo modo spogliato del suo merito, come tante volte succede, a favore di qualcuno più potente.

Sotterrare i suoi cento venti mila, o più, morti è quello che sta facendo adesso Haiti, mentre la comunità internazionale si sforza di prendersi cura dei vivi, nel mezzo del caos e della disorganizzazione multipla di un paese che anche prima del terremoto, da generazioni, già si trovava nello stadio di catastrofe lenta, di calamità permanente. Lisbona è stata ricostruita, anche Haiti lo sarà. La questione, per quanto riguarda Haiti, risiede nel come si deve ricostruire efficacemente la comunità del suo popolo, non solo ridotto alla povertà più estrema ma anche estraneo a un qualsiasi sentimento di coscienza nazionale che gli permetta di raggiungere da solo, con tempo e lavoro, un ragionevole grado di omogeneità sociale. Da tutto il mondo, da luoghi diversi, milioni e milioni di euro e di dollari si stanno riversando su Haiti. I rifornimenti sono arrivati in un’isola in cui mancava tutto, o perché perso nel terremoto, o perché non c’è mai stato. Come per un intervento di una divinità particolare, i quartieri ricchi, in confronto con il resto della città di Port-au-Prince, sono stati poco colpiti dal sisma. Si dice, e a giudicare da quello che è successo a Haiti ci pare certo, che i disegni di Dio siano imperscrutabili. A Lisbona le preghiere dei fedeli non hanno potuto impedire che i tetti e le mura delle chiese gli cadessero addosso schiacciandoli. A Haiti neanche la semplice gratitudine per aver avuto salva la vita e i beni senza aver fatto nulla per meritarlo, ha mosso i cuori dei ricchi verso la disgrazia di milioni di uomini e donne che non possono neanche fregiarsi del termine di compatrioti perchè appartenenti al più infimo dei livelli della scala sociale, ai non-esseri, ai vivi che sono sempre stati morti perchè la vita piena gli è stata negata, schiavi erano dei padroni, schiavi sono delle necessità. Il cuore del ricco è la chiave della sua cassaforte.

Ci saranno altri terremoti, altre inondazioni, altre catastrofi di quelle che chiamiamo naturali. Abbiamo il riscaldamento globale con le sue siccità e le sue inondazioni, le emissioni di CO2 che solo perchè obbligati dall’opinione pubblica i governi si rassegneranno a ridurre, e forse è già all’orizzonte qualcosa a cui sembra nessuno voglia pensare, la possibilità di una coincidenza di fenomeni causati dal riscaldamento con l’avvicinarsi di una nuova era glaciale che coprirebbe di ghiaccio mezza Europa e che adesso starebbe dando i primi e ancora benigni segnali. Non succederà domani, possiamo vivere e morire tranquilli. Ma, lo dice chi sa, le sette ere glaciali attraveso cui il pianeta è passato fino a oggi non sono state le uniche, ce ne saranno altre. Nel frattempo, guardiamo verso Haiti e verso le altre mille Haiti che esistono al mondo, non solo quelli che sono praticamente seduti su instabili faglie tettoniche per cui non c’è una soluzione possibile, ma anche verso quelli che vivono sul filo del rasoio della fame, della mancanza di assistenza sanitaria, dell’assenza di una istruzione pubblica soddisfacente, dove i fattori propizi allo sviluppo sono praticamente nulli e i conflitti armati, le guerre tra etnie separate da differenze religiose o da rancori storici la cui origine ha finito per essere dimenticata in molti casi, ma che gli interessi odierni si ostinano ad alimentare. L’antico colonialismo non è scomparso, si è moltiplicato in diverse varianti locali, e non sono pochi i casi in cui i suoi eredi immediati sono state le stese elite locali, vecchi guerriglieri trasformati in nuovi esploratori del loro popolo, la stessa ingordigia, la crudeltà di sempre. Sono queste le Haiti che vanno salvate. C’è chi dice che la crisi economica sia venuta a correggere la traiettoria suicida dell’umanità. Non sono molto sicuro di questo, ma almeno che la lezione di Haiti possa servire a tutti noi. I morti di Port-au-Prince sono andati a far compagnia ai morti di Lisbona. Non possiamo fare più nulla per loro. Adesso, come sempre, il nostro dovere è di prenderci cura dei vivi.

J.S.

da: http://quadernodisaramago.wordpress.com/

Per info su Haiti: http://associazionecoloresperanza.wordpress.com/

mercoledì 10 febbraio 2010

Balene

"Erano li da tempo immemorabile, molto prima che i romani battezzassero Costa Ballaenae le rive del golfo di Genova o Portus Delphini quello che secoli dopo avremmo chiamato Portofino. Erano li, nel Mediterraneo, e alimentavano fantasie e destavano ammirazione ricordando i limiti dell'esistenza umana e ispirando leggende come quella del Leviatano, o semplicemente dicendo che nella vita c'è posto per tutti."
L.Sepulveda, Le rose di Atacama

lunedì 8 febbraio 2010

Mafia

Non scrivo questo post per particolari problemi, riporto solo un passaggio di un libro che ho appena letto, che forse è la descrizione più chiara di tutto questo:
"...storia del medico di un carcere siciliano che si era messo in testa, giustamente, di togliere ai detenuti mafiosi il privilegio di risiedere in infermeria: c'erano nel carcere molti malati, ed alcuni addirittura tubercolitici, che stavano nelle celle e nelle camerate comuni; mentre i caporioni, sanissimi, occupavano l'infermeria per godere di un trattamento migliore. Il medico ordinò che tornassero ai reparti comuni, e che i malati venissero in infermeria. Nè gli agenti nè il direttore diedero seguito alla disposizione del medico. Il medico scrisse allora al ministero. E così, una notte fu chiamato dal carcere, gli dissero che un detenuto aveva urgente bisogno del medico. Il medico andò. Ad un certo punto si trovò, dentro il carcere, solo in mezzo ai detenuti: i caporioni lo picchiarono, accuratamente con giudizio. Le guardie non si accorsero di niente. Il medico denunciò l'aggressione al procuratore della repubblica, al ministero. I caporioni, non tutti, furono trasferiti ad altro carcere. Il medico fu dal ministero esonerato dal suo compito: visto che il suo zelo aveva dato luogo ad incidenti. Poiché militava in un partito di sinistra, si rivolse ai compagni di partito per averne appoggio: gli risposero che era meglio lasciar correre. Non riuscendo ad ottenere soddisfazione dell'offesa ricevuta, si rivolse allora a un capomafia: che gli desse la soddisfazione, almeno, di far picchiare, nel carcere dove era stato trasferito, uno di coloro che lo avevano picchiato. Ebbe poi assicurazione che il colpevole era stato picchiato a dovere."
Il giorno della civetta. Fin qui il miglior romanzo sulla mafia, meglio anche di Gomorra.